Appello a Casini: “Torni con noi. Non c’ è spazio per un terzo polo”. Pdl e Lega fanno a gara nel tendere la mano all’ Udc in vista delle amministrative. Il leghista Roberto Calderoli ha annunciato la volontà di aprire un confronto con i centristi sul ddl per il federalismo fiscale. In un’ intervista al Mattino, il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto va anche più avanti, rispondendo al ministro del Carroccio.
“Personalmente – dice Cicchitto – mi spingerei anche oltre con una proposta di alleanza per le amministrative e di confronto su temi quali la giustizia. L’ Udc, infatti – conclude – ha avuto finora un modo di fare opposizione molto diverso dal Pd che va a rimorchio di Di Pietro”. Anche il ministro per le Politiche europee Andrea Ronchi, intervistato da Repubblica a proposito del convegno dell’ Udc svoltosi a Todi nel fine settimana, intensifica il pressing sui centristi.
Partito Democratico
Il primo giorno da leader del nuovo segretario del Pd
Dario Franceschini giura sulla Carta e attacca Berlusconi, che ribatte alle accuse e ribadisce l’ assoluta fedeltà alla Costituzione. “Il presidente del Consiglio ha in mente un paese in cui il potere viene sempre più tacitamente concentrato nelle mani di una sola persona. Questo è contro la Costituzione su cui il presidente del Consiglio ha giurato fedeltà” ha detto il neo segretario del Pd che si è recato davanti al Castello estense, luogo in cui furono trucidati 13 cittadini innocenti dalle squadre fasciste. Un gesto simbolico nel primo giorno da leader del Pd, accompagnato dal padre, ex partigiano, sulla cui vecchia copia della Costituzione ha giurato fedeltà alla Carta. “Non è il momento della delusione – aggiunge Franceschini – dell’ astensionismo o del disimpegno, ma è il momento in cui tutti gli italiani che credono nei valori condivisi che hanno fatto nascere la Costituzione, dall’ antifascismo alla resistenza, in modo pacifico e democratico comincino una lunga battaglia per difendere la democrazia italiana”.
Renzi, “l’Obama italiano”, scrive il Time
Matteo Renzi, il trentaquattrenne trionfatore alle primarie del Pd a Firenze e candidato alla poltrona di sindaco nelle elezioni del prossimo giugno, potrebbe essere l’ Obama italiano. Lo sostiene un
Dario Franceschini: nuovo segretario del Pd
Un’ elezione meno problematica di quanto si pensasse. Ma ora comincia la fase più difficile. Il discorso con cui Dario Franceschini si è candidato ha coinvolto molti, ma altrettanti si chiedono se il nuovo segretario riuscirà nell’ impresa di rimettere in piedi un partito in forte crisi. Franceschini però si è posto un obiettivo: dare una sterzata al progetto del Pd veltroniano. Su quanta discontinuità ci stia tra Franceschini e Veltroni si è aperto il dibattito all’ assemblea. E se Enrico Letta parla di discontinuità assoluta, i veltroniani, invece, si dicono rassicurati di aver letto nelle parole di Franceschini tutta l’ ispirazione del Lingotto.
Certo, su alcuni punti (i temi etici, l’ unità sindacale, la collocazione europea), Franceschini ha fatto passi avanti rispetto a Veltroni. Il segnale di discontinuità più evidente comunque è nella struttura del partito a cui Franceschini inizierà a lavorare subito. Un partito solido, radicato. Di certo, non liquido. Da ieri sera Franceschini ha iniziato a lavorare ai nuovi organismi dirigenti visto che coordinamento e governo ombra sono stati azzerati.
Il Pd verso una reggenza Franceschini
L’ orientamento prevalente è quello di affidare a Dario Franceschini la guida del partito fino al congresso. Frastornato per l’ improvvisa uscita di scena di Veltroni, al gruppo dirigente del Pd è sembrata questa la via d’ uscita più praticabile. Tuttavia, si è aperta una riflessione all’ interno del partito. La soluzione-ponte di Franceschini non è convincente per la maggior parte dei dirigenti, che ha molti dubbi al riguardo. Dubbi che riguardano la solidità dell’ operazione che rischia di essere percepita come una soluzione da “ceto politico” e non in grado di intercettare la richiesta di cambiamento che viene dalla base del partito. Per questo, infatti, viene giudicata importante la riunione di ieri sera con i segretari regionali a cui ha partecipato Dario Franceschini. Un incontro per sondare gli umori del territorio e capire se c’ è il sostegno alla “reggenza” dell’ attuale numero due del Pd.
No a una reggenza precaria. Congresso subito
Con tutto il rispetto dovuto a Dario Franceschini, non sembra proprio il caso di perdere tempo nominando reggenti e rinviando il confronto, o lo scontro, e insomma il congresso, al prossimo autunno. Si sa, i tempi tecnici di un congresso sono lunghi, ma in certi frangenti la volontà politica deve pur trovare la strada per imporsi. Purché il congresso non si svolga per procura. I protagonisti veri della contesa, quelli chiamati a far capire alla loro gente e all’ opinione pubblica qual è il “nuovo” di cui sono portatori, devono scendere in campo con le loro idee e con i loro programmi. Tutto questo il Pd lo deve in primo luogo a se stesso e alla sua gente e alle reiterate divergenze all’ interno del partito stesso. E così si è trovato all’ improvviso a stabilire se ha un futuro o se la sua storia è finita prima ancora di cominciare. Ma lo deve pure a quella democrazia italiana di cui voleva essere la principale forza di rinnovamento.
Il futuro del Pd: Pierluigi Bersani favorito dagli iscritti
Chi potrebbe essere il nuovo leader del Pd? La coppia Bersani-Letta starebbe bene? Tutta una corsa a individuare il prossimo leader. Piace l’ ipotesi dell’ ex ministro emiliano segretario. “Spero in Bersani”, conferma Alberto Marani alla sezione romana del Pd centro storico. Tra la base ex ds c’ è una prevalenza di consenso per Pierluigi Bersani, perché rappresenta una sorta di garanzia, di sicurezza rispetto al passato. Lo dicono i militanti nei circoli, soprattutto i 50 – 60enni; lo ribadisce il sondaggio pubblicato sul sito di Repubblica, dove l’ ex governatore dell’ Emilia è stato votato dal 20% degli oltre 60 mila che hanno partecipato. È il nome che ricorre anche nei dibattiti in radio: “È l’ unico nominato da qualcuno dei nostri ascoltatori”, racconta Danilo De Biasio, direttore della storica frequenza di sinistra milanese, Radio Popolare, “ma non è molto indicativo: perché in realtà tra i nostri ascoltatori prevale una critica che include tutto il gruppo dirigente”. La stessa critica si legge sui blog di Internet: “Veltroni si è dimesso! E D’ Alema, Latorre, la Binetti & C. E tanti altri restano?”, si legge, più o meno uguale, in quasi tutti i messaggi sul sito del Pd.
Pd: il partito riformista senza riforme
Le cause? Gli errori del capo oppure le troppe idee inconciliabili? Il fallimento di Walter Veltroni come leader del Partito democratico non può essere spiegato solo con i suoi limiti personali e politici, che pure non sono mancati. Il fallimento non si chiama Veltroni, ma Partito democratico, un Partito di cui il leader dimissionario è stato l’ interprete più fedele. Un Partito sarebbe una associazione di persone che hanno più o meno le stesse idee sul mondo: questo il Pd non lo è mai diventato. Perché quelli che lo dirigono, lo sostengono e lo votano hanno opinioni molto diverse, spesso anche opposte, su ogni singola questione. Dall’ economia al lavoro, dalla giustizia alla bioetica, dalle alleanze fino al tipo di opposizione da fare. Negli scorsi anni, e ancora oggi, ci hanno spiegato che il Pd è nato per unire i riformisti, quindi che si tratta del più grande Partito riformista presente in Europa, un esperimento unico nel suo genere che mette insieme le due grandi culture uscite dal Novecento.
Caos nel Pd: le dimissioni di Veltroni
L’ esito delle elezioni sarde provoca un terremoto nel Pd: il segretario Walter Veltroni comunica al coordinamento del partito la decisione di lasciare l’ incarico. Tutto avviene al termine della riunione dell’ organismo convocato al mattino dal segretario, proprio mentre dal centro destra arrivano i primi entusiastici saluti alla vittoria di Ugo Cappellacci. Spiegando la sua decisione irrevocabile di dimettersi da segretario del Partito democratico, Veltroni si è assunto la responsabilità dei suoi errori e anche della sconfitta in Sardegna, ma ha spiegato di non voler rimanere per non togliere al Pd la possibilità di continuare a esistere. Poi dice: “Basta farsi del male, mi dimetto per salvare il progetto al quale ho sempre creduto”. Veltroni ha spiegato, infatti, che se il partito è da tempo dilaniato da divisioni e fibrillazioni interne è perché le critiche si concentrano sulla linea politica da lui scelta e sulla sua persona, dunque se “per molti sono un problema – ha detto Veltroni – io sono pronto ad andarmene per il bene del partito”.
Il volto nuovo del Pd: Matteo Renzi
Vincitore delle Primarie, Renzi è candidato a sindaco di Firenze. “D’ Alema voleva i quarantenni? Eccomi”, dice Renzi. “Per svecchiare il partito” dice D’ Alema. Ma i fatti sono andati esattamente così. Racconta Renzi: “Dopo l’assemblea nazionale, a cena, tra sfida e sfottò, “voi trenta quarantenni dite sempre che volete più spazio, no? Prendetelo. Abbiate il coraggio di una lotta in campo aperto”. Voleva la sfida? Eccola. Io non dico che sarò il leader nazionale del Pd, ora la mia battaglia è semplicemente vincere Firenze, ridare alla città un ruolo nazionale che con Domenici non ha mai avuto. Questa vittoria dimostra però che li possiamo affrontare, loro, con le loro logiche antiche, e battere. E se l’ ho fatto io possono farlo anche altri, spero che lo facciano. Basta far capire alla gente che sei fuori dagli apparati, e giocarsi tutto: se perdevo l’ ho detto, sarei tornato a lavorare in azienda. Questo è piaciuto. Ho tifato per Soru, anche se molti amici di sinistra erano delusi da lui, mi hanno detto che stavolta non l’ avrebbero più votato…”.