L’ orientamento prevalente è quello di affidare a Dario Franceschini la guida del partito fino al congresso. Frastornato per l’ improvvisa uscita di scena di Veltroni, al gruppo dirigente del Pd è sembrata questa la via d’ uscita più praticabile. Tuttavia, si è aperta una riflessione all’ interno del partito. La soluzione-ponte di Franceschini non è convincente per la maggior parte dei dirigenti, che ha molti dubbi al riguardo. Dubbi che riguardano la solidità dell’ operazione che rischia di essere percepita come una soluzione da “ceto politico” e non in grado di intercettare la richiesta di cambiamento che viene dalla base del partito. Per questo, infatti, viene giudicata importante la riunione di ieri sera con i segretari regionali a cui ha partecipato Dario Franceschini. Un incontro per sondare gli umori del territorio e capire se c’ è il sostegno alla “reggenza” dell’ attuale numero due del Pd.
Partiti
Letizia Moratti: “Per l’ Expo un commissario c’ è già, e sono io”
Tolte al Sindaco di Milano le competenze sulle infrastrutture. Privilegiato Formigoni. I pochissimi che l’ hanno vista a Palazzo Marino l’ hanno trovata “amareggiata, ma determinata”. Da alcuni giorni Letizia Moratti era stata avvertita che il ministro dell’ Economia Giulio Tremonti – con l’ appoggio di Ignazio La Russa e del leader della Lega Umberto Bossi – sarebbe stata costretta a rinunciare al fidato Paolo Glisenti come prossimo amministratore delegato della società di gestione dell’ Expo. Ma non sapeva ancora che avrebbero tolto alla Expo Spa e a lei, in qualità di commissario straordinario, le competenze sulle infrastrutture direttamente collegate al sito espositivo, che saranno invece di competenza del Tavolo Lombardia, in ultima analisi del governatore Roberto Formigoni. Così si è deciso ad Arcore. Una decisione sostenuta anche da Bossi. Un colpo basso per Letizia Moratti, che ha sempre sostenuto di avere ottimi rapporti personali con Bossi. Ma il Senatùr aveva i suoi motivi, anche in previsione che l’ anno prossimo, al termine del mandato di Formigoni, ai piani alti del Pirellone si possa insediare il sottosegretario leghista Roberto Castelli.
No a una reggenza precaria. Congresso subito
Con tutto il rispetto dovuto a Dario Franceschini, non sembra proprio il caso di perdere tempo nominando reggenti e rinviando il confronto, o lo scontro, e insomma il congresso, al prossimo autunno. Si sa, i tempi tecnici di un congresso sono lunghi, ma in certi frangenti la volontà politica deve pur trovare la strada per imporsi. Purché il congresso non si svolga per procura. I protagonisti veri della contesa, quelli chiamati a far capire alla loro gente e all’ opinione pubblica qual è il “nuovo” di cui sono portatori, devono scendere in campo con le loro idee e con i loro programmi. Tutto questo il Pd lo deve in primo luogo a se stesso e alla sua gente e alle reiterate divergenze all’ interno del partito stesso. E così si è trovato all’ improvviso a stabilire se ha un futuro o se la sua storia è finita prima ancora di cominciare. Ma lo deve pure a quella democrazia italiana di cui voleva essere la principale forza di rinnovamento.
Il futuro del Pd: Pierluigi Bersani favorito dagli iscritti
Chi potrebbe essere il nuovo leader del Pd? La coppia Bersani-Letta starebbe bene? Tutta una corsa a individuare il prossimo leader. Piace l’ ipotesi dell’ ex ministro emiliano segretario. “Spero in Bersani”, conferma Alberto Marani alla sezione romana del Pd centro storico. Tra la base ex ds c’ è una prevalenza di consenso per Pierluigi Bersani, perché rappresenta una sorta di garanzia, di sicurezza rispetto al passato. Lo dicono i militanti nei circoli, soprattutto i 50 – 60enni; lo ribadisce il sondaggio pubblicato sul sito di Repubblica, dove l’ ex governatore dell’ Emilia è stato votato dal 20% degli oltre 60 mila che hanno partecipato. È il nome che ricorre anche nei dibattiti in radio: “È l’ unico nominato da qualcuno dei nostri ascoltatori”, racconta Danilo De Biasio, direttore della storica frequenza di sinistra milanese, Radio Popolare, “ma non è molto indicativo: perché in realtà tra i nostri ascoltatori prevale una critica che include tutto il gruppo dirigente”. La stessa critica si legge sui blog di Internet: “Veltroni si è dimesso! E D’ Alema, Latorre, la Binetti & C. E tanti altri restano?”, si legge, più o meno uguale, in quasi tutti i messaggi sul sito del Pd.
Il Cavaliere: il “padrone” della politica italiana
Dopo la vittoria del centro destra in Sardegna Silvio Berlusconi è diventato il primo dominus della politica italiana. In Sardegna ha rischiato abbastanza, ma in un colpo solo ha riaffermato la sua premiership nel centro destra e ha liquidato il leader del Pd, Walter Veltroni che si è dimesso, e il potenziale leader di domani, Renato Soru. Il segreto della sua politica è nella ricerca del consenso e del suo uso. Berlusconi non punta sul tatticismo e sui giochi di Palazzo, ma punta tutto sul consenso ogni volta che è in difficoltà. Anche per questo non c’ è da meravigliarsi molto se ha deciso di mettersi in gioco in prima persona nelle elezioni sarde. Il consenso è l’ unico strumento che il premier ha a disposizione per riportare alla ragione alleati troppo litigiosi, per liberarsi degli stop istituzionali quando diventano troppo stretti o, ad esempio, per sbaragliare un Pd che lo descrive come il Cavaliere nero.
Pd: il partito riformista senza riforme
Le cause? Gli errori del capo oppure le troppe idee inconciliabili? Il fallimento di Walter Veltroni come leader del Partito democratico non può essere spiegato solo con i suoi limiti personali e politici, che pure non sono mancati. Il fallimento non si chiama Veltroni, ma Partito democratico, un Partito di cui il leader dimissionario è stato l’ interprete più fedele. Un Partito sarebbe una associazione di persone che hanno più o meno le stesse idee sul mondo: questo il Pd non lo è mai diventato. Perché quelli che lo dirigono, lo sostengono e lo votano hanno opinioni molto diverse, spesso anche opposte, su ogni singola questione. Dall’ economia al lavoro, dalla giustizia alla bioetica, dalle alleanze fino al tipo di opposizione da fare. Negli scorsi anni, e ancora oggi, ci hanno spiegato che il Pd è nato per unire i riformisti, quindi che si tratta del più grande Partito riformista presente in Europa, un esperimento unico nel suo genere che mette insieme le due grandi culture uscite dal Novecento.
Decreto sicurezza: sì alle ronde
Torna l’ ipotesi delle ronde, che sembrava tramontata e si delinea l’ aumento degli organici delle forze dell’ ordine (potrebbero essere 2.000 in più). Con una scelta in questa direzione si rafforzerebbe il pugno di ferro contro gli stupratori, prevedendo l’ ergastolo per chi uccide la vittima dopo la violenza sessuale. Queste le novità della bozza di decreto legge sulla sicurezza che il Governo intende approvare al prossimo Consiglio dei ministri di venerdì. Dopo lo stop, infatti, si è tornati a parlare di ronde nel decreto legge anti-stupri che sarà approvato venerdì prossimo, ma con una nuova formulazione, che evidenzia il ruolo di sindaci e prefetti. Il testo, cui lavora in primis il Viminale, insieme ai ministeri della Giustizia e delle Pari opportunità, è comunque ancora suscettibile di cambiamenti e la messa a punto proseguirà nei prossimi giorni. Per quanto riguarda l’ aumento degli organici delle forze dell’ ordine, questi non sarebbero propriamente nuovi assunti, ma volontari in ferma breve o prefissata che sono risultati idonei nei concorsi degli anni scorsi.
Caos nel Pd: le dimissioni di Veltroni
L’ esito delle elezioni sarde provoca un terremoto nel Pd: il segretario Walter Veltroni comunica al coordinamento del partito la decisione di lasciare l’ incarico. Tutto avviene al termine della riunione dell’ organismo convocato al mattino dal segretario, proprio mentre dal centro destra arrivano i primi entusiastici saluti alla vittoria di Ugo Cappellacci. Spiegando la sua decisione irrevocabile di dimettersi da segretario del Partito democratico, Veltroni si è assunto la responsabilità dei suoi errori e anche della sconfitta in Sardegna, ma ha spiegato di non voler rimanere per non togliere al Pd la possibilità di continuare a esistere. Poi dice: “Basta farsi del male, mi dimetto per salvare il progetto al quale ho sempre creduto”. Veltroni ha spiegato, infatti, che se il partito è da tempo dilaniato da divisioni e fibrillazioni interne è perché le critiche si concentrano sulla linea politica da lui scelta e sulla sua persona, dunque se “per molti sono un problema – ha detto Veltroni – io sono pronto ad andarmene per il bene del partito”.
Il volto nuovo del Pd: Matteo Renzi
Vincitore delle Primarie, Renzi è candidato a sindaco di Firenze. “D’ Alema voleva i quarantenni? Eccomi”, dice Renzi. “Per svecchiare il partito” dice D’ Alema. Ma i fatti sono andati esattamente così. Racconta Renzi: “Dopo l’assemblea nazionale, a cena, tra sfida e sfottò, “voi trenta quarantenni dite sempre che volete più spazio, no? Prendetelo. Abbiate il coraggio di una lotta in campo aperto”. Voleva la sfida? Eccola. Io non dico che sarò il leader nazionale del Pd, ora la mia battaglia è semplicemente vincere Firenze, ridare alla città un ruolo nazionale che con Domenici non ha mai avuto. Questa vittoria dimostra però che li possiamo affrontare, loro, con le loro logiche antiche, e battere. E se l’ ho fatto io possono farlo anche altri, spero che lo facciano. Basta far capire alla gente che sei fuori dagli apparati, e giocarsi tutto: se perdevo l’ ho detto, sarei tornato a lavorare in azienda. Questo è piaciuto. Ho tifato per Soru, anche se molti amici di sinistra erano delusi da lui, mi hanno detto che stavolta non l’ avrebbero più votato…”.
Intercettazioni, carcere solo per chi le pubblica
È passato in commissione giustizia della Camera l’ emendamento presentato dalla parlamentare Pdl Debora Bergamini: carcere da uno a tre anni per chi pubblica le intercettazioni da distruggere. Via libera anche alla proposta di Nino LoPresti che vieta la pubblicazione delle intercettazioni espunte dal processo perché riguardanti fatti e persone estranee alle indagini. Anche in questo caso la pena è la reclusione da uno a tre anni.
“È l’ ennesimo strappo della maggioranza – commenta il ministro ombra del Pd, Lanfranco Tenaglia – dopo lo strappo fatto allo strumento di indagine, ora quello al diritto di cronaca”. Si sta andando verso “l’ oscurantismo totale” afferma la capogruppo Pd in Commissione, Donatella Ferranti, “non si vuole il controllo democratico dei cittadini sull’ attività giudiziaria”. La cronaca giudiziaria “diventa una corsa ad ostacoli”.