Il Presidente della Camera querela Vittorio Feltri

 Il Pdl discuta sulle idee di Gianfranco Fini. Giulio Tremonti invita al dialogo ed alla pace nella maggioranza proprio nel giorno in cui Giulia Bongiorno, presidente della commissione Giustizia della Camera e legale del presidente della Camera, annuncia che Gianfranco Fini ha presentato querela contro il direttore de “Il Giornale”, Vittorio Feltri, in relazione all’ articolo “Il presidente Fini e la strategia del suicidio lento. Ultima chiamata per Fini: o cambia rotta o lascia il Pdl”.

“Su immigrazione, interesse nazionale, tipo di patria, globalizzazione, catalogo dei valori e dei principi, dentro il Pdl si può e si deve aprire una discussione, dove vince chi convince. Questo non vuol dire cambiare, ma capire il programma elettorale”. Il ministro dell’ Economia intervistato dal Corriere della Sera non ha dubbi sul fatto che il Pdl deve discutere sulle idee di Gianfranco Fini e sulla necessità di una tregua. Non lo chiedo io, lo chiede l’ interesse del Paese”.

Giulio Tremonti sottolinea che contro Berlusconi c’ è stata una campagna orchestrata come un’ ordalia pregiudiziaria, tra l’ altro senza che alla base vi sia alcun elemento giudiziario. Domande e sentenze. L’ appello al tribunale dell’ opinione pubblica. Il farsi dei giornali giudici. In questo contesto Berlusconi ha fatto bene a rispondere perché a un’azione corrisponde una reazione.

Vittorio Feltri attacca ancora Fini

 Nuovo attacco del direttore del Giornale al presidente della Camera. In un lungo editoriale, prima traccia un lungo excursus sulle vicende politiche recenti che hanno visto protagonista Fini e poi minaccia la pubblicazione un “dossier a luci rosse”.

Secondo Feltri il presidente della Camera “ha l’ esigenza immediata di trovare una ricollocazione: o di qua o di là. Non gli è permesso di tenere un piede nella maggioranza e uno nell’ opposizione. Deve risolversi subito”.

“E si ricordi che bocciato un lodo Alfano se ne approva un altro, modificato, e lo si manda immediatamente in vigore. Ricordi anche che delegare i magistrati a far giustizia politica è un rischio. Specialmente se le inchieste giudiziarie si basano su teoremi”.

“Perché – aggiunge il direttore del quotidiano – oggi tocca al premier, domani potrebbe toccare al presidente della Camera. È sufficiente, per dire, ripescare un fascicolo del 2000 su faccende a luci rosse riguardanti personaggi di Alleanza Nazionale per montare uno scandalo. Meglio non svegliare il can che dorme. Inoltre, valuti Fini che se la Lega si scoccia e ritira la sua delegazione, il voto anticipato è inevitabile. Allora per lui, in bilico tra destra e sinistra, sarebbe una spiacevole complicazione”.

Il presidente della Camera attaccato e preso in giro. Ma la sua politica guarda alla tradizione italiana ed europea

 Da qualche tempo lo attaccano con epiteti taglienti, ora hanno iniziato a prenderlo in giro. Ed ora Gianfranco Fini ha deciso di reagire. Con una linea stringata dal titolo della prima pagina del Secolo d’ Italia di sabato: “E se la vera destra fosse questa qui?”. Nel sommario: “Chiamano Fini traditore, ma la sua politica guarda alla tradizione italiana ed europea“.

A prima vista sembra uno slogan da prima pagina, e invece ben sette pagine sono dedicate al tentativo di dimostrare che la cultura di destra e i momenti migliori dell’ Msi sono stati segnati dall’ eresia, dall’ anticonformismo, dalla lotta alle due chiese, Dc – Pci, e non certo dal tradizionalismo e dal clericalismo. Alla fine chiedendosi se “a tradire la destra non siano proprio quelli che chiamano Fini traditore”. Con allusione neanche tanto velata ai Veneziani, ai Gasparri, ai tanti che si sono ribellati alla deriva “progressista” di Fini.

Ed ecco invece il contro – messaggio: Gianfranco è più di destra dei suoi detrattori. Non sarà facile, così come complicato è l’ altro obiettivo che ha in mente Fini: riconquistare Alleanza nazionale. Lui non lo ammetterà mai in pubblico, ma da quando An non c’ è più e da quando i suoi ex colonnelli si sono presi la loro autonomia, il presidente della Camera fatica ad essere riconosciuto da Berlusconi come l’ interlocutore che parla a nome di tutta l’ area ex missina. Tanto che Fini e Berlusconi hanno discusso anche di questo in un colloquio riservato che si è svolto poco prima delle vacanze estive.

Ma il presidente della Camera sa che non basta una chiacchierata con il premier per riconquistare il ruolo che aveva, quando trascorreva ore e ore – per tanti anni – nei vertici di Palazzo Grazioli assieme a Bossi, a Pierferdinando Casini e al Cavaliere. E proprio per questo, assieme alle continue esternazioni sui grandi temi politici, Fini ha messo in cantiere un’ altra operazione: trasformare la Fondazione Alleanza nazionale nella cassaforte della sua galassia.

No alla secessione leghista: da Nord a Sud, all’ unisono le proteste al nutrito menù agostano del partito di Bossi

 Inno di Mameli, dialetto, bandiera tricolore, gabbie salariali: il ricco menu agostano presentato dalla Lega indigna un po’ tutti nel Pdl, nel Pd e nella società e guadagna al partito padano un nutrito mazzo di altolà. Da Ciampi a Cicchitto, che parla a nome del Pdl e fa l’ elenco del programma di governo, a Flc Cgil: “Ci opporremo alla secessione leghista”.

A cominciare da quello di un ex presidente della Repubblica del calibro di Carlo Azeglio Ciampi, che in un’ intervista a Repubblica risponde senza esitazioni: “Il vero scopo della Lega – dice – è la secessione, ma credo che la maggioranza degli italiani e anche gran parte dell’ attuale maggioranza di governo la secessione non la voglia”.

Ciampi spiega di provare tristezza nel sentire certe frasi che mettono in cattiva luce l’ Italia: “Ripenso a quanti sforzi abbiamo fatto per il Paese. Non voglio fare polemica perché tra me e la Lega c’ è una enorme distanza, ma non posso nascondere il mio disagio. Anche perché sono manifestazioni che vengono da personaggi che rappresentano le Istituzioni. (…) Arrivano dal Governo, che è stato votato dagli italiani. Non c’ è dubbio che esercitano un diritto che viene loro dall’ investitura popolare. Ma questo non mi impedisce di dire che c’ è un senso diffuso di amarezza per questo modo di intendere la funzione di governo”.

“Sarebbe meglio che mi imponessi di non parlare – prosegue l’ ex Capo dello stato – perché l’ amarezza è troppo grande. Ma attenzione: ho quasi 89 anni, possiamo dire che faccio parte della categoria dei vegliardi, eppure mi sento di affermare che i valori fondamentali della nostra Nazione terranno. Sono convinto che le nuove generazioni sono una risorsa ricca di ottimismo e di fedeltà ai valori di base”.

Il Tricolore, simbolo dell’ Italia unitaria, oggetto di polemiche. La Lega vuole bandiere e inni regionali

 L’ articolo 12 della Costituzione, immutato e indiscusso dal 1948, recita: “La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso”. Ma alla Lega non basta più, vuole le bandiere regionali e anche gli inni. Bisognerebbe aggiungere, secondo la proposta di legge del capogruppo al Senato Federico Bricolo, le parole: “Ciascuna regione ha come simboli la bandiera e l’ inno”. I vessilli regionali sarebbero così equiparati al tricolore. Mentre gli inni lombardo, toscano o campano, supererebbero per rango l’ inno di Mameli, che non è citato dalla Costituzione e cui pure la Lega ha sempre preferito il “Va pensiero” di Giuseppe Verdi.

Questa iniziativa del Carroccio, che risale al luglio 2008, ma che oggi è stata segnalata dall’ ufficio stampa della Lega al Senato, solleva le aspre polemiche non solo dell’ opposizione, ma anche di alcuni esponenti della maggioranza. Nonostante il tentativo di Bricolo di stopparle sul nascere: “Non è una proposta di legge che va contro qualcosa o qualcuno – sottolinea – ma chiede il riconoscimento delle bandiere e degli inni regionali per valorizzare simboli identitari che sono ricchezza per tutti”.

Il progetto di legge, spiegano i senatori della Lega, è coerente con la riforma federalista. Per di più, non si tratta di una proposta nordista, ma riguarderebbe tutte le Regioni. “Voglio ricordare ai tanti sepolcri imbiancati che credono che la realtà nazionale debba essere un museo – aggiunge il ministro per le Politiche agricole Luca Zaia – che invece la gente e le culture si modificano”. Ma il messaggio del Carroccio viene capito solo dal movimento autonomista siciliano di Raffaele Lombardo. Il capogruppo alla Camera Carmelo Lo Monte dice che l’ Mpa è d’ accordo con quella che non esita a definire “una felice intuizione”.

Tremonti: “Il sistema economico italiano tiene. L’ Italia non è in declino”

 Il sistema economico italiano va anche meglio rispetto ad altri paesi europei. Questo indica che la scelta di fiducia e prudenza fatta dal governo ha portato buoni risultati. Il ministro dell’ Economia, Giulio Tremonti, nel corso della replica in Senato sul Dpef, torna a criticare i teorici del declinismo e sottolinea che l’ Italia ha retto bene l’ urto della crisi.

Ieri mattina la Camera ha votato sì alla risoluzione Pdl – Lega, presentata identica sia alla Camera che al Senato, che impegna il governo ad attuare il Dpef e fissa i saldi della Finanziaria. La risoluzione di maggioranza è stata approvata con soli 10 voti in più della maggioranza richiesta ed appena 21 di scarto dall’ opposizione. I sì sono stati 254 contro la maggioranza richiesta di 244 e a fronte dei 344 deputati di Pdl e Lega che contano a Montecitorio. I voti contrari al Dpef dell’ opposizione sono stati 233: solo 21 in meno di quelli a favore.

Michele Vietti, capogruppo vicario Udc alla Camera dei Deputati, punta il dito: “Evidentemente le crepe politiche tra partito del Nord e partito del Sud stanno minando la granitica autosufficienza del Governo. Così è chiaro perché il decreto Anticrisi non tornerà ad agosto alla Camera”.

Per il Pd il Dpef testimonia l’ assoluto disastro a cui la scellerata gestione del governo Berlusconi ha portato il Paese. Anna Finocchiaro, Presidente dei senatori del Pd, afferma: “Basta guardare lo stato dei conti pubblici e il costante aumento della pressione fiscale, i saldi tutti negativi, una spesa pubblica assolutamente fuori controllo”. “Nel Dpef non ci sono proposte di alcun genere relativamente alle riforme essenziali per il Paese” rincara Alfonso Mascitelli, capogruppo dell’ Italia dei Valori in Commissione Bilancio al Senato.

Afghanistan, un nuovo handicap del governo. Umberto Bossi: “Sarebbe opportuno tornare a casa”

 E quindi, mentre la Lega chiede il ritiro delle truppe, il Pdl parla di una presenza “irrinunciabile” dei soldati italiani a Kabul. Calderoli chiede di ragionare sulla missione in Afghanistan, pur andando avanti fino in fondo, e di lasciare Libano e Balcani.

“Sull’ Afghanistan – dice il ministro – la stragrande maggioranza degli italiani la pensa come Bossi. Prima o poi il mondo occidentale dovrà fare autocritica perchè la democrazia non si esporta e non si impone». In un’ intervista a Repubblica, l’ esponente leghista ammette di essere stato un tempo interventista, ma di avere fatto poi il mea culpa.

Arriva con La Russa la risposta del Pdl. “La presenza dei nostri militari in Afghanistan è imprescindibile. Lasceremo il Paese solo quando saranno garantite le condizioni di sicurezza, dice il ministro della Difesa. Il governo non pensa né può pensare al ritiro della missione. E le parole di un ministro di peso come Umberto Bossi (io li porterei a casa tutti) sono state dettate da uno slancio affettivo, un sentimento paterno”.

Frattini sottolinea come in Afghanistan servono elezioni credibili, e quindi con una reale partecipazione del popolo afghano. Quanto alla situazione nel Paese, il ministro ha aggiunto che “è noto che i nemici della democrazia cercheranno di colpire maggiormente durante il periodo di preparazione del voto. Tuttavia, continueremo a lavorare in Afghanistan per la sicurezza anche dell’ Italia e di Calderoli”.

Ma le affermazioni del leader della Lega e di Calderoli mettono in difficoltà il governo. Sia perché per la prima volta mostrano possibilità di spaccature sulle missioni militari all’ estero, sia perchè scoprono il fianco all’ opposizione: il Partito democratico invoca sicurezza per i militari e l’ Italia dei valori chiede di ridiscutere in Parlamento il senso della missione.

Nuove registrazioni D’ Addario – Berlusconi. Polemica sulla violazione degli atti segreti di indagine

 Seconda puntata delle registrazioni D’ Addario – Berlusconi. Sul sito dell’ Espresso sono infatti state pubblicati altri quattro audio realizzati, si legge, «dalla escort sugli incontri con Berlusconi a Palazzo Grazioli”. In particolare, tre sarebbero conversazioni tra la donna barese e il presidente del Consiglio, relativi a incontri di metà ottobre e alla mattina del 5 novembre 2008. Un’ altra registrazione, invece, avrebbe come protagonisti la stessa D’ Addario e Giampaolo Tarantini.

Sullo sfondo intanto infuria la polemica sulla violazione degli atti segreti di indagine. La procura di Bari si difende. Il procuratore Marzano fa sapere che si tratta di materiale informatico che Patrizia D’ Addario ha consegnato, a seguito delle dichiarazioni rese al pubblico ministero ed alla polizia giudiziaria.

Materiale ritualmente acquisito e adeguatamente custodito in plichi sigillati collocati in una cassaforte blindata di questo ufficio. “La pubblicazione – sostiene il procuratore – di conversazioni asseritamente registrate non è pertanto riferibile in modo alcuno agli uffici di Procura, che non hanno ancora proceduto all’ apertura dei plichi sigillati, all’ ascolto ed alla riproduzione del contenuto del suddetto materiale”.

S’ infiamma anche lo scontro politico. Il Pd attacca Berlusconi sostenendo che “la versione dei fatti data dal premier è stata smentita di nuovo da questi nastri” e pertanto il premier “adesso avrebbe l’ elementare dovere di chiarire davanti all’ opinione pubblica senza esagerare con le polemiche verso i giornali che fanno solo il loro lavoro” spiega Gentiloni.