Nessun dialogo con questi individui. Così il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi chiude ogni spiraglio di un possibile confronto con l’opposizione sulla riforma dell’ordinamento giudiziario: «Fin quando sarò al governo non mi siederò mai ad un tavolo con questi individui – ha detto il premier – Ha ragione Bonaiuti quando dice che sono marxisti, leninisti. Ci vuole un cambio di generazione per avere da noi una socialdemocrazia. Non accetto di parlare con questo tipo di persone». Berlusconi, dopo aver assicurato che mai dialogherà con l’opposizione per la riforma della giustizia, lascia però aperta la via di una riforma in Parlamento. «Poi in Parlamento i gruppi parlamentari potranno decidere come più riterranno opportuno», dice.
Il premier: cambio la Carta, poi parola ai cittadini. «La Costituzione si può cambiare e poi l’ultima parola spetta ai cittadini – aggiunge Berlusconi – Ci sono due votazioni con 6 mesi di tempo l’una dall’altra poi a decidere se la riforma sarà giusta saranno i cittadini. Questa è la democrazia».
Sì alla separazione degli ordini. «Ritengo sia giusto separare gli ordini – dice ancora Berlusconi – perché un pubblico ministero deve far parte di un ordine diverso e deve avere gli stessi diritti e doveri dell’avvocato e cioè andare dal giudice, bussare alla porta e prendere un appuntamento. In questo modo i cittadini sono garantiti».
Due giorni fa, sulla giustizia, Pier Ferdinando Casini, aveva usato parole che sono musica per le orecchie del Cavaliere: apertura di un tavolo di confronto tra maggioranza e opposizione sulle riforme e conseguente esclusione di Antonio Di Pietro. E ieri in un’intervista per il mensile «Pocket», Silvio Berlusconi ha lanciato verso gli ex dc un segnale di disgelo: «Per Casini le porte del Pdl non sono aperte, sono spalancate. Casini ha deciso di non far parte della Pdl e ha scelto una strada che lo sta portando su posizioni che hanno deluso elettori ed ex dirigenti dell’Udc. Speriamo che cambi idea».
Intervista del presidente Silvio Berlusconi al quotidiano “Il Messaggero” del 6 dicembre 2008