Al vertice UE l’Italia discute sullo stappo nelle politiche ambientali

di isayblog4 24 views0

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Faccia a faccia, oggi a Lussemburgo, tra il commissario europeo all’Ambiente, Stavros Dimas, e il ministro italiano Stefania Prestigiacomo: si riunisce infatti il Consiglio Ambiente dell’Ue che ha in agenda proprio il pacchetto legislativo su clima ed energia, causa di forti tensioni nei giorni scorsi fra Roma e Bruxelles. Il commissario, che ha detto ripetutamente di non volere lo scontro con l’Italia e di voler ascoltare le obiezioni e le richieste di modifica che il governo propone al pacchetto Ue, cercherà probabilmente un chiarimento con Prestigiacomo anche sulle “guerra delle cifre” con Roma sui costi del pacchetto (181 miliardi di euro, con una media di 18 miliardi all’anno dal 2011 al 2020, secondo il governo italiano).

COSTI-BENEFICI – Al di là della polemica sulle cifre, l’Italia pone altri problemi che rischiano di far deragliare il pacchetto clima: inannazitutto, la nuova richiesta di una clausola di revisione su costi e benefici delle misure previste, che dovrebbe scattare nel 2009 e portare eventualmente, secondo il governo, anche a rivedere la ripartizione dello sforzo di riduzione delle emissioni fra i vari Stati membri. La presidenza francese e la Commissione, tuttavia, appaiono poco propense ad accettare il rischio di riaprire il vaso di Pandora, rimettendo in discussione l’attuale ripartizione delle riduzioni di emissioni in obiettivi nazionali differenziati; così come non sembrano disposte ad accettare nessuna obiezione di tipo “sistemico” al pacchetto Ue, non solo quelle italiane (come l’opposizione di principio al sistema Ets di compravendita dei diritti di emissione, già in vigore per Kyoto), ma soprattutto quelle dei paesi dell’Est, che pretendono di calcolare le riduzioni obbligatorie di CO2 non a partire dal 2005, ma riferendole al 1990.

ALLEANZE DIFFICILI – Va rilevato che proprio quest’ultima richiesta del “blocco” dell’Est (che però non è così compatto), rende molto difficile un’alleanza con l’Italia contro il pacchetto Ue. Se mai venisse portato al 1990 l’anno di riferimento, emergerebbe subito che lo sforzo richiesto all’Italia è in realtà molto minore di quello chiesto a paesi come la Germania o la Gran Bretagna, al contrario di quanto sta affermando in questi giorni il governo. Questo perché il riferimento al 2005 fotografa una situazione in cui quasi tutti i paesi europei hanno diminuito le emissioni rispetto al 1990, in applicazione del Protocollo di Kyoto, mentre l’Italia le ha aumentate notevolemente, allontanandosi sempre più dal suo obiettivo (-6,5% come media del quinquennio 2008-2012). In sostanza, se lo sforzo chiesto all’Italia entro il 2020 rispetto al 2005 è comparabile, e in qualche caso maggiore, di quello degli altri Stati membri, è solo perché in questo modo non viene calcolato l’enorme ritardo del Paese sulle riduzioni di emissioni obbligatorie previste da Kyoto (che non è solo un convenzione internazionale, ma anche una legislazione Ue vincolante per ogni Stato membro). La richiesta “sistemica” su cui punta di più il governo italiano (rivedere la ripartizione degli oneri fra gli Stati membri) e l’alleanza tattica con i paesi dell’Est risultano insomma difficilmente praticabili, e rischiano addirittura di essere controproducenti. Tra l’altro, come annunciato il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Altero Matteoli, il governo chiederà anche di rinviare e di rinegoziare il protocollo di Kyoto.

www.corriere.it

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