Le morti bianche non vanno in vacanza

di isayblog4 25 views0

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Si muore di più sul lavoro o sulle strade che non a causa della criminalità o di episodi violenti. E mentre il governo schiera l’esercito a presidio delle nostre città – che sono, anche a detta di autorevoli esponenti della destra, tra le più sicure d’Europa – sul fronte ‘morti bianche’ pensa addirittura di tornare indietro e scartare il testo unico della salute e la sicurezza sul lavoro portato avanti dal governo Prodi.

Più di due vittime ogni giorno ma per Castelli i numeri sonog infiati!. Le agenzie del 6 agosto annunicano che un operaio nigeriano di 37 anni è morto in un incidente sul lavoro all’interno della ditta vitivinicola «San Gabriele» di Trebaseleghe (Padova). L’uomo si trovava sul tetto di un capannone quando, per motivi al vaglio dei carabinieri e dei tecnici dello Spisal è caduto da una altezza superiore ai 15 metri, morendo sul colpo. Muore anche un boscaiolo in Alto Adige. Due le vittime oggi per incidenti sul lavoro.

A cadaveri acnora caldi il senatore della Lega Nord e sottosegretario alle Infrastrutture, Roberto Castelli non trova di meglio che lanciarsi in un’accusa ai dati diffusi: “Le statistiche sulle morti sul lavoro che periodicamente ci vengono trasmesse sono fasulle. Soltanto in Italia si contano come morti sul lavoro, al fine di poter dare benefici assicurativi da parte dell’Inail, anche le morti che avvengono per incidenti stradali capitati mentre si va al lavoro o mentre si torna a casa dopo il lavoro. Morti che evidentemente nulla hanno a che vedere con la sicurezza in fabbrica”.

Il primo a replicargli è Achille Passoni: “Castelli si vergogni e chieda subito scusa a tutti coloro che hanno avuto un parente morto o offeso per cause di lavoro. Ripeto si vergogni di fronte all’Italia per queste sue parole assurde. Farebbe comodo pensare che si tratti di un delirio agostano, invece temiamo che queste affermazioni si inseriscano pienamente nella esplicita intenzione mostrata dal governo Berlusconi e dalla maggioranza tutta di ridurre progressivamente le tutele sul lavoro. Le parole di Castelli sono solo la logica prosecuzione della volontà dell’Esecutivo di aggredire il decreto sulla sicurezza, di non applicarlo e di cambiarlo, come già annunciato da Sacconi. Il senso del pudore di fronte ai terribili bollettini quotidiani imporrebbe altro profilo, altra serietà. Gli incidenti sul lavoro sono una piaga nazionale e chi fa finta di non vederli ne diventa corresponsabile”.

Cesare Damiano, viceministro del lavoro del governo ombra del PD bolla l’uscita del leghista come parole “pericolose e prive di fondamento, un vero attacco alle norme sulla sicurezza sul lavoro. Le statistiche fornite dall’Inail sono puntuali tant’è che il consuntivo sulle morti viene fornito soltanto ad un anno di distanza per evitare dati
non veritieri. E’ molto facile disaggregare le cause compresi i decessi relativi ai tragitti casa lavoro e viceversa. I dati forniti negli anni sono perciò sempre omogenei e consentono di evidenziare le tendenze in atto. Se nel 1963, anno del boom dell’economia, ci furono in totale oltre 4400 morti sul lavoro, nel 2006 le morti furono 1341, discese nell’anno successivo a 1210.
Vale a dire 131 vite risparmiate anche grazie alle misure di lotta contro il lavoro nero, la precarietà e per la sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, varate dal governo Prodi. E’ una tendenza positiva che deve essere potenziata, visto che la diminuzione non è ancora allineata alle richieste dell’Europa. Un solo decesso è sempre una tragedia, lo ricordi Castelli”.

I morti sul lavoro, infatti, sono quasi il doppio degli assassinati e i decessi sulle strade otto volte più degli omicidi. A lanciare l’ennesimo allarme è stato il Censis, secondo il quale, tuttavia, “gran parte dell’attenzione pubblica si concentra sulla dimensione della sicurezza rispetto ai fenomeni di criminalità”. Nel 2007, sono stati 1.170 i decessi per motivi di lavoro in Italia, di cui 609 per infortuni ‘stradali’, ovvero lungo il tragitto casa-lavoro (‘in itinere’) o in strada durante l’esercizio dell’attività lavorativa.

L’Italia, avverte il Censis, è di gran lunga il Paese europeo dove si muore di più sul lavoro. Se si escludono gli infortuni in itinere o comunque avvenuti in strada, non rilevati in modo omogeneo da tutti i Paesi europei, si contano 918 casi in Italia, 678 in Germania, 662 in Spagna, 593 in Francia (in questo caso il confronto è riferito al 2005).

I numeri crescono ancora se si considerano le vittime degli incidenti stradali. Nel 2006, in Italia, i decessi sulle strade sono stati 5.669, più che in Paesi anche più popolosi del nostro: Regno Unito (3.297), Francia (4.709) e Germania (5.091).

Gli altri Paesi hanno fatto meglio di noi negli interventi tesi a ridurre i decessi sulle strade. Nel 1995 la Germania era ‘maglia nera’ in Europa, con 9.454 morti in incidenti stradali, ridotti a 7.503 già nel 2000, per poi diminuire ancora ai livelli attuali. In Francia, si è passati dagli 8.892 morti sulle strade nel 1995 agli 8.079 nel 2000, per poi registrare un ulteriore calo. La riduzione in Italia c’è stata (i morti erano 7.020 nel 1995, 6.649 nel 2000, fino agli attuali 5.669), ma non in maniera così rapida, sottolinea il Censis, tanto da diventare il Paese europeo in cui è più rischioso spostarsi sulle strade.

Mentre se si guarda agli omicidi, in Italia continuano a diminuire. In base ai dati delle fonti ufficiali disponibili elaborati dal Censis, sono passati da 1.042 casi nel 1995 a 818 nel 2000, fino a 663 nel 2006 (-36,4% in 11 anni). Sono molti di più negli altri grandi Paesi europei, dove pure si registra una tendenza alla riduzione: 879 casi in Francia (erano 1.336 nel 1995 e 1.051 nel 2000), 727 in Germania (erano 1.373 nel 1995 e 960 nel 2000), 901 casi nel Regno Unito (erano 909 nel 1995 e 1.002 nel 2000).

Anche rispetto alle grandi capitali europee, nelle città italiane si registra un numero minore di omicidi. Nel 2006 a Roma si sono contati 30 casi, quasi come Parigi (29 omicidi, ma erano 102 nel 1995), 33 a Bruxelles, 35 ad Atene, 46 a Madrid, 50 a Berlino, 169 a Londra, che aveva toccato la punta massima (212 omicidi) nel 2003.

“Gran parte dell’impegno politico degli ultimi mesi è stato assorbito dall’obiettivo di garantire la sicurezza dei cittadini rispetto al rischio di subire crimini violenti”, osserva Giuseppe Roma, direttore generale del Censis, commentando i dati.

“Tuttavia, se si amplia il concetto di incolumità personale – spiega – e si considerano i rischi maggiori di perdere la vita, risalta in maniera evidente la sfasatura tra pericoli reali e interventi concreti per fronteggiarli. Il luogo di lavoro e la strada mancano ancora di presidi efficaci per garantire la piena sicurezza dei cittadini, e spesso si pensa che perdere la vita in un incidente stradale sia una fatalità. I dati degli altri Paesi europei dimostrano che non è così”.

Secondo il viceministro del Lavoro del Governo ombra del PD Cesare Damiano. “la notazione del Censis impone a tutti di non abbassare la guardia su questo argomento fondamentale, che spesso ci viene ricordato dal Presidente della Repubblica”.

“L’ultimo dato ufficiale dell’Inail relativo al 2007, in attesa di un consuntivo definitivo, ci dice che in quell’anno i morti sono stati 1210, in calo rispetto ai 1341 dell’anno precedente. Se si considera l’andamento storico delle morti sul lavoro e si risale agli anni ‘60, quelli del boom economico, che registravano all’inizio del decennio oltre 4000 morti sul lavoro ogni anno, si capisce quali sono stati gli enormi progressi compiuti. Ma tutto questo non basta né ci può consolare, perché anche un solo decesso sul lavoro costituisce una tragedia per una famiglia, per una comunità aziendale e per un territorio. Inoltre, il livello di discesa registrato in Italia non tiene ancora il passo con le indicazioni europee. I migliori risultati raggiunti sono comunque dovuti allo sforzo compiuto in questi anni nella lotta contro il lavoro nero e la precarietà e anche grazie alle nuove norme contenute nel testo unico sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Per questo motivo queste legge vanno difese e applicate integralmente e mi attendo dal governo, come richiesto da un ordine del giorno votato da tutto il Parlamento, il varo del decreto sui lavori usuranti che può consentire a chi svolge un’attività faticosa di andare prima in pensione, diminuendo anche in questo modo il rischio di infortuni”.

Ma se i dati che fornisce il Censis si riferiscono al 2007, nell’anno corrente la situazione non è certo migliorata, anzi. Lo fanno notare i senatori del PD e membri della commissione Lavoro a Palazzo Madama Achille Passoni e Paolo Nerozzi. “Fino ad adesso – dicono – un morto al giorno. Il primo del mese un autista è stato schiacciato dal suo stesso camion a Castelmaggiore mentre un operaio a Catanzaro moriva cadendo da un tetto in costruzione. Sabato un ragazzo di appena 30 anni veniva schiacciato da una macchina industriale nel napoletano e oggi (lunedì 4 agosto, ndr) un altro operaio è morto a Treviso mentre un suo collega in queste ore combatte una battaglia per tornare a casa dalla sua famiglia”.

“Dall’inizio dell’anno ad oggi – proseguono – questo bilancio tragico racconta di 624 persone morte per il solo fatto di esser andati a lavorare. Tutto questo è vergognoso. Il ministro Sacconi prenda atto della Dichiarazione sulla sicurezza e salute sul lavoro di Seul che vuole la prevenzione come parte integrante delle attività di lavoro, perché alti standard di sicurezza migliorano la produttività e di lavorare insieme affinché quanto prima venga attuato in ogni sua parte il Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro, evitando inutili discussioni su metodologie di approccio ‘formale’ o ‘sostanziale’ quando si parla della vita dei lavoratori”.

www.partitodemocratico.it

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