Bologna accoglie Giuliano Ferrara con una pesante contestazione

di isayblog4 24 views1

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A Bologna un revival degli anni Settanta contro la lista pazza: In un vivace pomeriggio di vera campagna elettorale, il tour della lista pazza arriva a Bologna, i candidati salgono sul palco di piazza Maggiore, parlano per quasi un’ora del programma e dopo aver visto arrivare un migliaio di persone, sotto Palazzo Podestà, concludono il secondo comizio di giornata in mezzo a una contestazione energica e piuttosto invadente. Uova, bottiglie, pomodori, mortadelline, lampeggianti della polizia fracassati, macchine in fuga, un po’ di legnate in testa e qualche monetina sul palco. Urlavano molto, i contestatori arrivati di fronte alla bellissima Basilica di San Petronio, più o meno a metà comizio e pronti a far scorrere nel cuore di Bologna un goffo revival degli anni Settanta. I manifestanti, poco prima che il comizio si concludesse, hanno superato il lungo cordone di polizia che ieri pomeriggio abbracciava tutta Piazza Maggiore, si sono avvicinati al palco con poco buonumore e, alzando il dito medio e ringhiando un po’, hanno provato a interrompere il comizio. Solo che dal palco, il capolista di “Aborto? No, grazie” urlava molto di più, raccoglieva pomodori, li rilanciava tra la folla e fino alle 19 ha continuato a far la sua serissima campagna elettorale. “Oggi vogliamo muoverci in spazi ampi, oggi ci serve tutta Piazza Maggiore per sottrarci al vostro controllo. Non accettiamo una vita di paura e inconsapevolezza dal momento che nulla conta più della potenza dei nostri corpi, che continueranno ad attraversare la città e lo faranno anche il 28 giugno in occasione dell’LGBT Pride”, avevano scritto alcune femministe brontolone poche ore prima, le stesse che, dopo aver contestato a Livorno, avevano organizzato già da tempo la protesta di ieri pomeriggio, e si erano date appuntamento in via San Felice e poi, in piazza, avevano cominciato a lanciare uova sul palco. “Sono qui con un uovo marcio sul taschino della giacca di velluto chiaro”, dirà Giuliano Ferrara pochi minuti prima di arrivare ad Imola, quell’uovo che a Bologna, sorridendo, aveva definito “una medaglia”. Il momento più delicato e incivile della giornata è stato quando, il direttore di questo giornale è sceso dal palco bolognese. I contestatori si sono avvicinati, hanno circondato i poliziotti di scorta, hanno spintonato e, seguendo Ferrara fino allo sportello dell’auto, hanno fracassato un lampeggiante, una fiancata e un faro della macchina. Nessuna fuga, però. Il comizio è finito, il candidato della lista pazza è salito in macchina, ed è arrivato ad Imola. Sul palco, a Bologna, insieme con Ferrara, c’erano anche Matilde Leonardi e l’ex vicesindaco di Bologna Giovanni Salizzone. “Questa però non è democrazia. Non mi fate parlare. Avete contestato il comizio ma non siete a riusciti a impedirci di parlare a Bologna. Domani finirete su tutti i giornali, siete contenti?”. “Vi piace che ogni anno nel mondo ci siano 50 milioni di aborti? A me no! L’aborto è maschio, come voi che contestate”, dirà a fine giornata Ferrara. Contestazione per nulla civile, ma comunque significativa lo stesso, perché oggi non si fanno manifestazioni né contro W, né contro il Cav.; né contro la Nato né contro le basi militari. No: in campagna elettorale si contesta solo ciò che vale un po’ di più di un semplice lancio di agenzia. Si contesta ciò di cui si discute davvero: la vita. “E’ inaccettabile che una piazza venga trasformata nel luogo dell’intolleranza. Tutti devono essere in condizione di poter sostenere pubblicamente le proprie tesi e le proprie opinioni e a nessuno deve essere impedito di parlare. Trasformare la campagna elettorale da confronto tra le idee in scontro è una responsabilità grave che si assumono tutti coloro che praticano intolleranza. Non condividere un’idea non deve mai diventare azione ostile contro chi la sostiene. Per questo quello che è capitato oggi a Bologna è un danno oggettivo per la città e la sua storia di democrazia e di tolleranza”. Così in serata il sindaco di Bologna Sergio Cofferati.

fonte: Il Foglio

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